Onorevoli Colleghi! - Nonostante siano stati fissati chiari obblighi dalla sentenza n. 243 del 5-19 maggio 1993 della Corte costituzionale, l'omogeneizzazione dei trattamenti di fine rapporto fra il settore pubblico e quello privato è ancora di là da venire.
      Già la legge 29 maggio 1982, n. 297, che intendeva disciplinare l'importante materia, prescriveva modifiche del codice civile in tema di trattamento di fine rapporto dei lavoratori privati, ma lasciava esplicitamente invariata la normativa per i dipendenti pubblici (articolo 4, sesto comma).
      La legge di omogeneizzazione, pure preannunciata dal Governo Ciampi il 14 settembre 1993 con la costituzione di un'apposita commissione che avrebbe dovuto concludere i lavori entro novanta giorni, non venne alla luce neppure in bozza.
      Infine, lo stesso ponderoso provvedimento di riordino del sistema previdenziale (legge 8 agosto 1995, n. 335), pure contenendo un articolo dedicato alla «armonizzazione» (articolo 2), in tema di trattamenti di fine servizio si limita a prevederne il regolamento in base all'articolo 2120 del codice civile per i lavoratori assunti dal 1o gennaio 1996 alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (articolo 2, comma 5), e rimanda alla contrattazione collettiva nazionale, nell'ambito dei singoli comparti, la definizione delle modalità di applicazione nei confronti dei lavoratori già occupati alla data del 31 dicembre 1995 (comma 7).
      Tale definizione doveva avvenire entro il 30 novembre 1995 e le norme di esecuzione

 

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dovevano essere dettate entro trenta giorni con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (comma 6).
      È rimasto tutto sulla carta.
      Con la presente proposta di legge si intende almeno eliminare un'annosa discriminazione a danno dei dipendenti pubblici. L'articolo 2120 del codice civile, nel testo modificato dalla citata legge n. 297 del 1982, recita, fra l'altro, al sesto comma: «Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta». Tale facoltà non è stata estesa ai lavoratori del pubblico impiego.
      Per cancellare questa disparità di trattamento, almeno come principio, se non nella misura e con le modalità fissate dal codice civile, sembra opportuno al proponente che il periodo minimo per la concessione della facoltà di chiedere un acconto sull'indennità di buonuscita o di fine servizio consista in almeno venti anni di servizio utili ai fini previdenziali (articolo 1): tale periodo corrisponde a quello che dà diritto al trattamento pensionistico al raggiungimento dell'età pensionabile.
      Le condizioni per la richiesta di anticipazione sono state allargate anche alle spese per la ristrutturazione della casa di proprietà che, con la grave situazione di crisi dell'edilizia abitativa, si rendono frequentemente necessarie [articolo 2, comma 1, lettera c)], nonché alle spese matrimoniali, che costituiscono spesso un onere sproporzionato rispetto ai redditi generalmente modesti dei dipendenti pubblici [articolo 2, comma 1, lettera d)].
      Gli articoli 3 e 4 coincidono quasi integralmente con la normativa stabilita dai commi nono e undicesimo dell'articolo 2120 del codice civile.
      Per i motivi indicati il proponente auspica l'approvazione della proposta di legge che, oltre tutto, non comporta oneri per la pubblica amministrazione.
 

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